Il Primo Maggio di piazza San Giovanni ha scoperchiato una pentola bollente. Quaranta nomi in cartellone e nemmeno uno di donna titolare di progetto musicale. Su 77 sul palco, solo 4 le donne, nascoste tra ben più folta rappresentanza maschile. I social media del concertone rispondono tirando fuori la più antica delle norme: le donne ci sono, e fanno tutto loro, ma dietro le quinte. Non sia mai che si debbano pure far vedere. Ambra risponde sostenendo che si tratta dello specchio della discografia italiana. Come se non fosse compito di un concerto come quello del Primo Maggio, che fa capo ai tre grandi sindacati del lavoro, CGIL CISL e UIL, restituire contenuto e un minimo di correttezza.

La controproposta delle donne: all’Angelo May di Roma, luogo storico della libertà e della differenza, si organizza in fretta e furia un altro Primo Maggio, e qui cantano solo le donne, quasi trenta nomi, con qualche sparuto musicista ad accompagnare. Il rapporto femmine/maschi è più o meno lo stesso, ma rovesciato. E se siamo così abituati a vederlo a favore dei maschi, e non ci facciamo quasi nemmeno caso, all’inverso la cosa si nota.

Vedendo le facce delle cantanti che si susseguono sul palco si notano tante cose. La prima è quanto la nostra società sia maschilista, quanto nella quotidianità non si faccia altro che ripetere lo stesso schema: uomini sul palco, donne dietro le quinte. La seconda cosa è che su questo palco dell’Angelo May sfilano donne vere. Queste donne hanno facce vere, hanno corpi normali. Sono loro stesse, con il proprio stile personale. Pesano come donne reali, dimostrano l’età che hanno, e hanno venticinque, trenta, cinquant’anni, qualcuna ne ha di più. Si vede nei visi, nella pelle, nei capelli, nella forma del corpo.

Il Primo Maggio dei sindacati non ci mostra solo la punta dell’iceberg mainstream, tralasciando metà del mondo, ci mostra ciò che vogliono vedere il mercato, la televisione, Instagram, la discografia. Donne filiformi, donne entro i trent’anni, ma che ne dimostrino venti, donne in serie. Poche ma bone. Il modello di donna accettabile non è certo quello della cantautrice che ha vissuto delle sue canzoni, delle esperienze, magari forti, magari devastanti, quella che ha sudato per salire su un palco, che ha combattuto con l’ansia e le mani gelate, quella che scrive parole da ascoltare.

Durante l’ultima puntata del talent di Rai Due, Morgan, giudice di una certa esperienza, dice con nonchalance che di cantautrici in Italia non ce n’è, a parte Carmen Consoli. Se lo dice lui. Dall’organizzazione del concertone assicurano che le donne sono poche, che non ne hanno trovato. Eccone qui una trentina, quelle dell’Angelo May, ma potevano essere cinquanta, cento, quante ne volete. Si può rispondere che per stare su quel palco bisogna godere di una certa notorietà, ma all’Angelo May hanno suonato musiciste come Angela Baraldi, Mara Redighieri, Andrea Mirò, e altre che vantano storia e riconoscimenti ben più importanti di molti dei nomi in cartellone al concertone. Niente scuse, per favore.

Il direttore di Vinile Michele Neri pubblicizza da tempo le produzioni di donne, diffondendo playlist a tema, i nomi sono centinaia. Il giornalista Michele Monina dal suo blog ha elencato decine di lavori di donne, progetti di tutto rispetto che però non solo non finiscono sul palco di Piazza San Giovanni, ma spesso nemmeno dentro la discografia nazionale, sui palchi del festival, o nei locali, comunque sempre in percentuale minima, prima vengono i colleghi maschi.

Non è una novità, il nostro Paese è gravato da un profondo sbilanciamento, e il mondo della musica leggera è forse il settore più maschilista che ci sia. Non si tratta soltanto del Primo Maggio, figuriamoci. Quello però è un simbolo, e la sua responsabilità politica è enorme. In ogni caso, che nessuno si senta escluso: chiunque fa parte di questo ampio paesaggio di festival, rassegne, discografia, si svegli al 2019 e provi a portare le donne sui palchi.

 

Nella foto Mara Redighieri, foto di Alberto Marchetti

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