Quando ero piccola i miei nonni il Primo Maggio mi portavano a Valverde, il santuario fuori Alghero, alla festa dell’Avanti. Mio nonno era un socialista convinto, sino allo scandalo Craxi, quando lo ricordo strappare la tessera del partito in piedi davanti al televisore, furioso, lui che non si arrabbiava mai. A quel tempo le feste dell’Avanti credo che fossero già finite, e comunque io ero troppo grande per andarci ancora con loro. Però mi ricordo che era bello, con il fumo delle salsicce arrosto, i torronai e i garofani rossi e bianchi dappertutto. Era una festa popolare, file di utilitarie FIAT riempivano il prato verde, ognuno portava da casa vassoi di pasta al forno, vino, formaggio e cose povere da condividere con gli altri, tra le tovaglie stese sull’erba. Non sapevo cosa si festeggiasse, ma mi sembrava un bel modo di stare insieme. Ora del Primo Maggio resta un concertone a Piazza San Giovanni con artisti che anno dopo anno si scelgono sempre più in base alla popolarità e sempre meno in base a un qualche impegno sociale o politico, in linea con un concerto sponsorizzato da aziende che maltrattano i lavoratori e organizzato da una serie di sindacati che dei lavoratori sono diventati il nemico numero uno. Restano manifestazioni sparse per l’Italia che signori e signore di una certa età continuano a mantenere vive come una tradizione antica a cui si tiene ma che non si ricorda più bene da dove venga. Da dove viene? Dove va?

Il lavoro che difendono non esiste più, quasi, il mondo a cui si aggrappano appartiene a un secolo fa, quando i sindacati difendevano i lavoratori, prima che il bacino dei lavoratori diventasse bacino elettorale, da spostare e guidare a seconda della convenienza. Prima che i sindacalisti potenti prendessero una paga di trecentomila euro all’anno. Prima che ci si rendesse conto che il lavoro non può essere ad ogni costo, che le industrie hanno il dovere di salvaguardare l’ambiente, prima che di garantire posti di lavoro. Prima della retorica del lavoro come dogma, a qualsiasi costo, contro tutte le evidenze. Meglio morti che disoccupati. A Taranto i sindacati difendono il lavoro, pazienza per le percentuali di leucemie e cancro che superano quelle di tutta Italia. A Domusnovas si producono bombe che uccidono e che fomentano la risposta terrorista che un giorno ricadrà proprio su di noi, ma garantiscono una manciata di posti di lavoro per un territorio devastato dalla povertà e dall’abbandono, oltre a una buona dose di inquinamento che il territorio paga subito in contanti di morte e di malattie.

Il nostro è un mondo ricco, ricchissimo. L’automatizzazione e la robotizzazione garantiscono prodotti a basso costo e minore fatica per tutti. Una volontà politica lungimirante dovrebbe preparare il nuovo orizzonte in cui lavoreremo meno e avremo il giusto, in cui la ricchezza di cui godono i sistemi virtuali, come finanza e web, si dovrà condividere tra tutti, e il lavoro fisico, quello che sta scomparendo, sarà sostituito da un tipo nuovo di partecipazione alla società, più virtuale magari, o di intelletto, più equo e più saggio. La dignità non la dovrà più garantire il lavoro, la nostra stessa esistenza deve garantire la dignità. Le migliori società nella storia sono state quelle che hanno dedicato le migliori forze all’ozio, alla cultura, alla bellezza, allo studio, al miglioramento di sé.

Questo insistere a voler vedere gli umani come formichine da sfruttare, con o senza stipendio, è del tutto fuori tempo. Andiamo verso un tempo più giusto, pensiamo a risolvere il problema della fame e dell’iniqua distribuzone delle risorse, abbandoniamo i fossili e utilizziamo esclusivamente energie sostenibili. Puntiamo su quanto di più bello e tradizionale abbiamo: la natura, il cibo, la storia, la cultura di ogni popolo. Che è tutto ciò per cui ogni giorno milioni di persone del mondo ricco si muovono e viaggiano, cercando bellezza per nutrire lo spirito. Dovremmo scegliere governi intelligenti che preparino il mondo a questo cambiamento. Siamo ormai abbastanza evoluti per fare il salto.

Claudia Crabuzza

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